1 comments/ 2084 views/ 0 favorites A Quiet Indulgence 01 By: Ginger_Scent A Quiet Indulgence -- confessions of a lover - Lunedì Non mi piace parlare, dilungarmi in ampi discorsi. Spero che, scrivendo i miei pensieri, riesca a cambiare questo lato carente della mia personalità. Ho deciso di tenere un diario per una settimana soltanto, dal momento che mi illudo che la mia storia sia talmente unica e straordinaria che sarebbe un vero peccato consegnarla all'oblio. Ho abbastanza paura della morte, della dimenticanza. La mia storia è quella di una passione, una passione sola che ne racchiude infinite altre. Non ne ho mai parlato con nessuno --fatta una eccezione-, dunque mi fa strano tracciare il mio segreto sulla carta con questa penna che scrive anche male, a sbuffi di inchiostro. La mia passione sono le donne. No, non mi sono espresso bene: io vado matto per le donne. E' forse la patina di afasia che permea la profondità di questo sentimento, oppure è la novità del gesto della confessione che fa sì che lo spiegarmi risulti così difficile: io amo le donne. Ovvio: tutti gli uomini amano le donne. Cosa c'è di tanto speciale nel mio caso isolato? La mia non è una barbara bramosia, non è perché le donne hanno tette culo e figa, non è perché sono mezzi del mio piacere personale, non è perché sono un pervertito che pensa solo a quello, non soffro di qualche patologia sessuale mai prima documentata e non sono uno sciupafemmine seriale. No. Io amo le donne perché sono donne, dunque le amo tutte ed ognuna. Che mondo sarebbe senza donne? Come potrei svegliarmi la mattina senza la certezza che da qualche parte una donna si stia infilando delle perle alle orecchie davanti allo specchio? Come potrei uscire a comprare il giornale senza sapere che una donna stia giudicando criticamente quale lato del suo viso sia quello migliore nello specchio dell'ascensore dell'ufficio? Come potrei scrivere questa confessione senza presentire che una donna stia calcolando mentalmente le calorie contenute nei cereali integrali che esita a piazzare nel carrello della spesa? Come potrei andare a letto la sera senza sorridere all'idea che una donna, ripensando al suo capoufficio, si stringa inconsciamente le spalle nell'immaginaria stretta nuda dell'uomo dei suoi pensieri? Il mondo sarebbe un luogo cieco e aspro senza donne. Ogni loro piccolo dettaglio mi fa impazzire, soprattutto in quanto il particolare è proprio di una soltanto, è squisitamente individuale: v'è quella con il tic di risistemarsi i capelli con una civetteria ammaliante, quella che è assai compiaciuta che quel vestito le metta in risalto il seno perfetto, quella che si vergogna profondamente del proprio naso aquilino, quella che vorrebbe solo cucinare dolci dalla mattina alla sera... La cosa che accomuna ogni donna è la loro piena consapevolezza del fatto che siano irresistibili agli occhi del loro principe azzurro di turno. Beh, cosa c'è di strano? Un uomo a cui piacciono tutte le donne: curioso ma non eccezionale. Già, il nodo della questione è come ami tutte le donne. Ed è molto semplice: con il pensiero. Non è un eufemismo per dire che sia uno sfigato; anzi, devo ammettere -con fierezza- che con tutta probabilità non esiste un uomo al mondo che possa eguagliarmi in materia di prodezze erotiche. Il motivo di questo successo è che io posso avere ogni donna che voglio in ogni momento che voglio. Una donna mi attrae? E' subito mia. Io le donne le tocco solo con l'immaginazione, le spoglio con il pensiero, le vizio e le corteggio con la mente, le scopo nei sogni. La mia ragazza, no, la mia ex ragazza Viv --Vivienne- ancora sudata e con gli splendidi seni che andavano su e giù al ritmo del suo respiro affrettato mentre giacevamo esausti sul letto, mi aveva chiesto dove avessi imparato ad essere un autentico dieu du sex, e se --aveva riso- per caso mi esercitassi di nascosto con qualche collega d'ufficio. Viv infarciva spesso le sue conversazioni con vezzosi termini francesi. Sapeva che mi piaceva. Ma io sapevo di mio che non le avrei mai potuto confessare i miei passatempi: "Non mi stupisco tesoro: ho iniziato a dodici anni a spogliare ogni donna che mi attraeva e sono avanzato a livelli successivi ogni anno che passava. Ma non ti allarmare: lo faccio solo con il pensiero." Non l'avrebbe presa bene. La mia dedizione a questo curioso passatempo potrebbe essere vista come una perversione, una patologia. Chiamatela come vi pare: mi ritengo superiore a qualsiasi altro uomo sul pianeta in virtù del mio amore inestinguibile per le donne della mia vita... in senso ampio. Perché io trovo in ognuna che abbia mai spogliato nella mia esistenza qualche centinaio almeno di tratti irresistibili. Perché non mi limito al fantasticare su quelle biondine alte ingenue, né sulle more slanciate seducenti, né sulle rosse prosperose intriganti, né su qualsiasi altro stereotipo che abbia affascinato la virilità sin dall'alba dei tempi. Perché se il branco starà sbavando dietro la sventola davanti al tabellone degli arrivi alla stazione, io starò discretamente saggiando il velluto della pelle appartenente alla donna appesantita dalle spesa che si riposa su una anonima panchina. L'ho detto prima. io amo le donne. La mia perversione potrebbe anzi essere considerata magnanima! Quanto si rallegrerebbe la ragazza disgustata dai suoi seni ancora acerbi, se solo sapesse quante tenere attenzioni le ho rivolto alla fermata dell'autobus; quanto sarebbe lusingata la signora vergognosa delle vene sui polpacci nascoste sotto la perenne calzamaglia, se solo immaginasse con quanto ardore gliele ho sfilate per baciarle l'interno coscia. Io amo le donne. Quando amo una donna con il pensiero, può darsi che mi lasci andare a tal punto che la mia passione divenga ardente: allora sentono che le seduce, che le tocca, che le accarezza, le assapora, le stringe, le penetra, le ama anche nella realtà. Credetemi, è vero. La volta in cui scoprii questa sfaccettatura della mia perversione venni quasi scoperto, per quanto il verbo scoprire sia poco appropriato: di cosa mi avrebbe potuto accusare? Con quali prove? Il mio passatempo non lascia tracce, non lascia indizi... Dovevo avere sedici o diciassette anni al tempo. Ero dunque nel fiore dell'età, l'età in cui la mente di ogni ragazzino pare essere sintonizzata esclusivamente sul canale sessosessosessosessosessosessosessosessosessosessosessosessosessosessosessosessosessosessosesso Una voglia totalmente scevra di raffinatezza o sottile desiderio, né di attraenti minuzie o dettagli eccitanti: l'età del tutto e subito, in poche parole. L'età che io vissi silenziosamente, come sempre. Non nel senso che mi astenevo dal saltare addosso alle mie compagne di banco, ma inteso come una passione travolgente consumata entro i confini dei miei pensieri. Ero a scuola, lezione di matematica. Non ricordo il nome di quella studentessa, bensì il colore del suo maglione: un celeste così caldo e morbido e carnoso e sensuale e denso e voluttuoso che la desiderai subito. Ogni volta che alzavo gli occhi dal mio quaderno vedevo la sua schiena di fronte a me, disegnata e imbevuta di quel colore arrapante: era una tortura. Non stavo seguendo neanche una parola della lezione, avevo rinunciato al fingere di prestare attenzione per invece crogiolarmi nell'aura di sensualità che quel maglione celeste emanava, come un invito alla mia irruenza di stracciarlo: la mia voglia stava letteralmente esplodendo dal banco. Fu un attimo. L'immobilità del colore venne disturbata dal gesto con cui la ragazza alzò le braccia e si raccolse i capelli in una coda morbida: fu come se tutta la mia essenza mi avesse abbandonato per raggiungerla quando ancora teneva le braccia sollevate e prenderla lì, sul banco, davanti a tutti. Bruciavo dentro, mentre le mie fantasie venivano sguinzagliate sulla mia compagna di classe: le alzavo la gonna grigia dell'uniforme, le stringevo i fianchi con le mani accaldate e la sbattevo con tanta forza da disfarle la graziosa pettinatura. Fu in quel momento che lei, lei, si volse a guardarmi, con il viso --i suoi lineamenti mi sfuggono, ma ricordo ancora i particolari...- arrossato, le labbra umide e schiuse, il respiro corto e le gambe strettamente accavallate. I suoi occhi sciolti, liquidi, fluidi si mescolarono ai miei, e per un attimo lo stavamo facendo in classe, durante la lezione di matematica: era tutto in quello sguardo. Poi il professore richiamò i due studenti distratti all'attenzione, e mai più vi fu alcun riferimento al curioso episodio. Ma io ebbi modo di riflettervi a lungo, per infine giungere alla conclusione che ho prima esposto: qualora il mio desiderio fosse abbastanza forte, la concentrazione profonda, l'attrazione contagiosa e l'oggetto della mie attenzioni sufficientemente sensibile, allora potevo fare in modo che fisicamente la persona sentisse sulla propria pelle quello che nella mia mente le stavo o stavamo facendo. Ho scritto abbastanza per oggi. Non sono abituato a tenere tanto una penna in mano, ma mi fa tuttavia alquanto fiero il costatare che oltre al callo sul dito la penna abbia anche lasciato dei comodi solchi ove le pieghe della mia pelle l'hanno abbracciata. C'era un mio compagno, non ricordo se al liceo o alle medie, che mi aveva una volta confidato che si eccitava da morire a vedere una ragazza che interagiva con una penna: che la usasse per scrivere, che la appoggiasse meditabonda alle labbra, la estraesse con cura dal portapenne, la usasse per legarsi laboriosamente i capelli, la adoperasse per indicare qualcosa alla lavagna o per gesticolare durante un discorso; qualunque fosse l'uso quel mio compagno diveniva tutto rosso e andava in iperventilazione. Ricordo che per un mese intero, dopo che quel ragazzo mi aveva aperto una porticina sulle sue fantasie più segrete, non potei fare a meno di notare pure io il dettaglio, quasi come se la sua piccola perversione mi avesse contagiato. Adesso mi viene da ridere, guardando il mio pugno stretto sulla penna: chissà se quel ragazzo ne abbia fatto menzione ad altri, o se si sia semplicemente dimenticato della passeggera moda personale. Chissà se fosse entrato ora nel mio squallido salottino d'improvviso e mi avesse guardato, cosa avrebbe esclamato? Hey, Alex: non starai mica facendo una sega a quella penna, razza di pervertito? Il mondo è grande, molto grande. Più passano i giorni più me ne accorgo: eppure io nutro ancora il sogno di poter amare ogni donna del pianeta singolarmente ed individualmente: andare a letto e, prima di addormentarmi, passare in rassegna di un dettaglio in particolare che mi abbia colpito di ognuna dei miliardi di donne che ho amato fisicamente con il pensiero. Sarebbe come andare a letto con tutte una seconda volta, solo contemporaneamente. Questa sarebbe la mia preghierina prima della buonanotte. Ho deciso che scriverò, ogni giorno per sette giorni, di un particolare incontro che quel giorno abbia lasciato un segno più marcato degli altri durante la mia giornata. Viv direbbe --Viv avrebbe detto- che per me ogni scusa è bon pour faire rien invece che andare in ufficio come una persona normale. Ma Viv non c'è più, e, non lo so, è strano spiegarlo: sento che scrivere questa confessione sia una cosa davvero importante da fare. Una specie di magia per fissare il fascinoso erotismo delle donne sulla carta. Ma ho scritto abbastanza per oggi. A Quiet Indulgence 02 A Quiet Indulgence II -- confessions of a lover - Martedì Solitamente la cosa che aborrisco sopra ogni cosa è il fare un regalo ad una collega d'ufficio. Specifico al femminile perché, per quanto abbia già specificato quanto ami ogni donna, tuttavia trovo immensamente arduo l'insinuarmi sotto la loro pelle per vedere il mondo con i loro occhi. Dunque se pensavate che l'essere capace di amare tutte e ognuna sia come un lasciapassare diretto alle menti delle donne per indagare esattamente what women want, vi sbagliate. Di grosso. Il problema con il scegliere un regalo per una collega è che bisogna fare un eccezionale sforzo mentale per anticipare i pensieri che affioreranno quando lo scarteranno trepidanti. Mi spiego: se ricorro al vecchio trucco di un regalo di utilità (un portapenne di pelle, un temperamatite automatico, un portalettere di velluto... tutti doni che un collega uomo invece apprezzerebbe enormemente), lei potrebbe balzare alla conclusione che la mia sottosviluppata mente da scapolo trentacinquenne si sia fatta di lei l'idea di una povera sfigatella la cui intera esistenza ruoti attorno alla sua vita in ufficio. Identico il processo mentale qualora le regalassi un bijoux o simili cianfrusaglie: fraintenderebbe la scelta come un patetico tentativo di fare colpo o peggio come mal celato suggerimento di cambiare gusti ornamentali. La lista dei 'no, perché...' potrebbe prolungarsi all'infinito, ed è per questo che detesto fare regali a colleghe. Questa donna in particolare non volevo assolutamente offendere, in virtù delle splendide fantasie a cui mi aveva --inconsapevolmente- condotto: non era soltanto perché era la segretaria, ma erano quelle squisite calzine di seta e pizzo che si metteva ogni venerdì (dopo lavoro veniva a prenderla alla porta il suo fidanzato) ad avermi portato a possederla sette volte nell'ultimo mese. L'ultima delle quali era stata talmente vivida che lei aveva dovuto chiedere di tornare a casa un'ora prima del solito perché 'mi sento un po' strana'. Tuttavia malgrado quanto le sue calzine del venerdì mi attizzassero, era pur sempre una donna a cui dovevo fare questo giorno un regalo. Tra gli infiniti mali scelsi quello che avrebbe fatto più male al sottoscritto, sperando che lei, accorgendosene, avrebbe forse giudicato con maggiore bontà il mio dono. Così oggi pomeriggio sono andato a Sephora. Prima che prendiate il mio gesto come contraddittorio rispetto a quanto precedentemente detto, chiarisco che ero pur'io al corrente del rischio che comportava l'acquisto di articoli di bellezza: ma ero disperato. E, ripeto, speravo che quando avrebbe scartato il pacchetto e posato gli occhi prima sul vistoso logo del negozio e poi sul mio sguardo martirizzato avrebbe provato pietà. Vagai attraverso gli scaffali, circumnavigando (ma pur sempre apprezzando) abilmente le commesse volenterose e i sali da bagno al cioccolato, profumi nauseabondi, pinze d'aspetto minaccioso, limette, spugne terapeutiche, deodoranti futuristici. Con crescente disperazione mi tuffai nella sezione dei rossetti. Devo ammettere che non sono contrario al trucco. Se applicato con maestria, conferisce un velo particolarmente intrigante al volto femminile: nasconde, cela, occulta qualcosa --non necessariamente un difetto-, bensì un altro viso che ella intende rivelare solo dopo aver raggiunto un certo grado di intesa. Il riconoscere l'onnipresenza dello stilletto nel loro stivale è come ammettere che i fili dei burattini li tiene sempre lei, l'arma segreta è sempre in suo pugno, l'uomo è sempre in scacco in sua compagnia. E poi alzai gli occhi dallo scaffale e vidi la donna di oggi. Le mie giornate sono densamente popolate di donne: ognuna che incrocio per strada viene tacitamente e mentalmente apprezzata, chi in maggiore e chi in minore grado a seconda della situazione e dell'umore. Ma ce n'è sempre una capace di farmi completamente girare la testa dal desiderio. Quei momenti sono per me la vera seduzione, poiché spesso non posso possederle lì, immediatamente. C'è chi potrebbe pensare che il fatto che possa potenzialmente scoparmi mentalmente qualsiasi donna io voglia mi rende capace di concretamente farlo quandunque io voglia. Ma non è così. Ho bisogno di tempo, ho bisogno di concentrazione, nessun preliminario va saltato. Dunque, in quei casi ove la possibilità immediata non mi è concessa, anch'io devo esperire la curiosa danza della seduzione: il desiderio irrefrenabile di avere, ma l'impossibilità in quel determinato tempo e spazio di farlo veramente. E allora devo dare la caccia alla mia preda, colei che mi ha attratto in questo modo lancinante, devo trovare il modo di codurla nell'occasione perfetta ove farla mia. E questo era il caso della donna di oggi, di questo martedì. La prima cosa che mi colpì di lei fu il fatto che non fosse truccata. Era un controsenso vivente: una ventottenne dalla pelle vergine di qualsiasi tipo di maquillage sepolta nel più grande negozio di cosmetici della provincia. Ovvio, forse era qui anche lei per trovare un regalo per la sua migliore amica... Ma quell'aura di intesa fre lei e se stessa che aleggiava in ogni suo gesto mi tolse ogni dubbio: quella donna era qui perché intendeva farsi un dono. La seconda cosa che colpì, strappandomi il fiato per l'intensità dell'impatto, fu l'accorgermi che stavo contemplando la sua immagine riflessa in uno dei tanti specchietti affissi ai ripiani. Il cerchio inquadrava alla perfezione i suoi zigomi alti, guance pallide, ciglia lunghe, occhi leggermente a mandorla, fronte incorniciata da qualche ciocca castana sfuggita alla morbida coda di cavallo: il suo intero viso che si contemplava meditabondo. Trovai dunque istantaneamente ammaliante, eccitante il fatto che dalla mia angolazione potessi ammirare non soltanto il suo volto nello specchio, bensì anche tutto il retro del corpo: schiena dritta, camicetta lilla, gonna grigia, il contorno sfocato dell'allacciatura del reggiseno, le pieghe storte sui gomiti dove le maniche erano state stirate male, le parigine con gli orli matematicamente allineati a metà coscia, fondoschiena modellato come dalle mani di uno scultore di marmi, deliziose scarpette di camoscio. Vedere allo stesso tempo nuca e viso di una donna mi fece uno strano effetto: iniziai a fantasticare, a supporre presuntuosamente che si fosse messa di proposito in quella posizione per lusingarmi con la visione del volto e metà corpo contemporaneamente. Voleva farsi ammirare da più angolazioni. Credo che fosse allora che decisi che lei era la donna del giorno e che dovevo assolutamente averla. Mi sentivo quasi in diritto di toccarla con il pensiero, semplicemente perché avevo compreso i suoi due segreti, perché era come se la conoscessi da tempo, come se fossi diventato il suo confidante ed in cambio del mio silenzio lei si sarebbe dovuta concedere a me. Faccio spesso queste simulazioni mentali di giochi di ruolo: tutto è possibile nei propri pensieri. In un attimo posso rendere la cameriera di McDonalds una principessa e io lo stregone, la cassiera al supermercato la dottoressa ed io il paziente, l'autoritaria dirigente d'azienda un'umile schiava sottomessa al suo padrone... E' divertente. Non devo nemmeno sborsare per i costumi da cosplay: nella mia mente tutto è già come lo voglio io. Ma questa volta ciò che rese irraggiungibile e dunque ancora più seducente la mia donna fu la mia maledetta curiosità. Esatto: non potei saltarle addosso e strapparle aperta sulle scapole quella graziosa camicetta, mi fu proibito stringere con entrambe le mani le sue natiche sode mentre la pettinatura si scioglieva da sé per la violenza del nostro ondeggiare. Questo perché i miei occhi caddero su un particolare che non avevo ancora notato, il quale mi inchiodò al corridoio incapace di concentrarmi pienamente sulla mia libido. Ero ipnotizzato dal rossetto scarlatto che lei teneva mollemente fra le dita. Dovevo assolutamente scoprire che cosa avesse intenzione di farci. Non dovetti attendere a lungo. Era rimasta sospesa a studiarsi l'immagine allo specchio, come per tentare di fissarne il ricordo per l'eternità: piegata leggermente in avanti, le natiche maliziosamente sollevate dal movimento e le gambe tese, quasi in punta di piedi per avvicinare ulteriormente il volto alla superficie. Pareva volesse baciarsi. Poi di scatto sollevò il braccio, socchiuse voluttuosamente le labbra porgendole al rossetto mentre inclinava la testa all'indietro, e si passò il colore sulla carne. L'atto mi parve così autoerotico che dovetti per un attimo distogliere lo sguardo, solo per poi rivolgerlo nuovamente a ciò che i miei sensi reclamavano a gran voce. Mi sentivo spodestato, come se lei avesse preso il mio posto e stesse facendo l'amore con se stessa in quel semplice gesto. La scena era talmente intima che mi accorsi di essere un intruso, fuori posto, un invasore. Avevo appena assistito a qualcosa che quella donna avrebbe potuto recitare di fronte alla specchiera del suo bagno ogni mattina, prima di andare a lavoro, nuda, ancora calda dopo la doccia bollente, i capelli umidi che le solleticavano la schiena, in punta di piedi e chinata verso lo specchio, natiche tese di un rosa arrossato dal recente sfregamento con l'asciugamano che ora giaceva a terra. Si sarebbe messa il rossetto. Ma questa era una donna che sapevo non si truccava mai: il suo gesto era una violazione del candore delle sue labbra carnose e desiderabili, vergini ad ogni offesa di colore (soprattutto quel colore). Casostrano, ella scelse proprio quel momento di riflessione per storcere la bocca in una miriade di posizioni diverse, come una coreografa professionista che analizza il lavoro delle sue ballerine --vi fu un attimo durante il balletto in cui intravidi la sua linguetta da dietro le quinte -. Poi abbandonò la sua aria trasognata di inquietante civetteria e, quasi irata, si ripulì la bocca con il dorso della mano. Il colore sbavò, colò, macchiò ed intrise non solo metà gancia sinistra ma anche la mano colpevole dell'estrema dissacrazione: dannazione a me, questa donna pareva proprio intenzionarsi allo scoparsi la sua bocca. Quel sentimento di dolorosa inappartenenza mi stritolò di nuovo, quasi l'avessi sorpresa ad accarezzarsi silenziosamente nella calda familiarità delle sue lenzuola. Ero un estraneo. Fu per quello che me la lasciai sfuggire --oh, non per sempre. Ogni donna è mia, lei non è un'eccezione. Infatti quando alla cassa, mentre sborsavo il tutt'altro che modico prezzo di un rossetto scarlatto per la mia collega, si avvicinò una donna con il portafoglio già aperto per pagare un burro cacao, fui lesto a leggere il suo nome stampato su una carta. La vedo ancora adesso, mentro poso la penna perché mi fa male la mano, rossa in volto mentre le sussurro allontanandomi dalla cassa baciati ancora per me. A Quiet Indulgence 03 -A Quiet Indulgence III- confessions of a lover Mercoledì Ogni dono ha i suoi pro e contro. Come avrete capito, il mio amore per le donne rasenta l'ossessione: non sono fisicamente capace di mettere piede fuori casa senza divenire immediatamente ed estremamente cosciente di ogni presenza femminile che mi circonda. E, soprattutto, di cosa le passa per la bella testa. Mi spiego meglio: ogni sera quando torno da lavoro incrocerò una media di settanta donne, ciascuna oppressa da ansie per i figli, meditazioni su cosa cucinare, rabbia per il capoufficio, invidia per la borsa nuova della vicina... ognuna ha i propri pensieri. Ma ciascuna lascia una sorta di traccia, una scia di profumo, un segno che esplica ad un attento ed allenato osservatore --quale il sottoscritto- esattamente quante di queste, ad esempio, si ritengano sessualmente appagate o frustrate, quante si godano per bene il proprio letto per l'intera lunghezza e larghezza, quante preferirebbero invece che il marito anziché macinare senza effetto sul loro inguine tornasse a leggere il giornale, quante si incantano a labbra schiuse e umide mentre immaginano sfrenati menage a trois o ardite perversioni che la lasciano sbigottita al semaforo rosso come il suo volto per la vergogna e l'eccitazione. Ah, splendide creature! A volte le loro fantasie si dispiegano così chiaramente sul loro volto che vi fanno caso anche i comuni passanti, i quali rimangono lievemente imbarazzati ed intrigati da queste signore tanto disposte a manifestare il loro vorace appetito sessuale. Ma io noto altre cose. Come sospetterete, vi sono donne che un bel mattino decidono di indossare della lingerie particolarmente provocante, con moventi tra i più svariati: stupire piacevolmente il marito al suo ritorno, donare quel tocco di credibilità in più di fronte agli avidi occhi del suo datore di lavoro quando, avanzando il proprio progetto, avanzerà anche una sbirciata delle delizie celate sotto la sua camicetta scollata... Ma la maggior parte delle volte lo fa esclusivamente per soddisfare se stessa: perché una donna che indossa dell'intimo stuzzicante (costoso, pizzoso, setoso, appetitoso, sfoggiante anche magari una vistosa etichetta in francese) sa che questo è un segreto condiviso soltanto da se stessa e dalla sua pelle. Questa certezza la rende ardita: vuole alludere a chiunque abbia un minimo di percettività che lei è speciale quest'oggi, che sotto i suoi vestiti si cela una golosità inimmaginabile, che lei custodisce un segreto scottante che tu puoi solo presentire, ma mai goderne... E' a queste donne che il mio olfatto sopraffino è attratto. E non me ne sfugge nemmeno una. Da quel momento in poi divento anch'io partecipe del segreto, sono in combutta con la mia preda: mi basta un lievissimo sforzo mentale per sfilarle la camicetta ed apprezzare -io solo fra tutti- la sua premura verso se stessa. Si tratta del raggiungimento di una intimità indescrivibile. Questo particolare passatempo è soltanto uno degli infiniti altri che coltivo, ed è dunque uno --tra gli infiniti altri- dei motivi per cui non posso sempre uscire. Compatitemi: devo, perché non posso fare altrimenti, amare ogni donna che incrocio per strada. E dato che si tratta di uno sforzo intensamente e squisitamente mentale, a fine giornata sono afflitto da emicranie oscene. Chiamatelo il contro del mio dono. Prevenire è meglio di curare, indi per cui fingo di essere affetto da qualche rara infezione la quale mi impedisce una settimana al mese di recarmi al mio ufficio. Chiamo questi sette giorni il mio 'ritiro', e per tutta la sua durata mi vieto severamente di posare gli occhi su qualsiasi donna: serro le persiane, stacco televisione, telefono e computer, mi libero di fotografie e riviste, passo il mio tempo a studiare cose nuove. Sono divenuto ad esempio un conoisseur di filologia aramaica. Il primo giorno di ritiro passa relativamente in fretta: mi dedico alla pulizia minuziosa del mio appartamento e alla lettura serrata. Mi tengo occupato. Il secondo giorno si svolge all'incirca come il primo: i miei passi si soffermano forse un attimo più a lungo del necessario davanti alla porta d'entrata mentre attraverso il corridoio. Il terzo giorno mi rinchiudo nel bagno e mi dedico a una meticolosissima cura del corpo. Eppure, malgrado la mia tersa concentrazione, le piastrelle bianche sono lisce come natiche, gli asciugamani bagnati sono lenzuola sudate, la spugna che si insinua dappertutto sono mani sfrontate, il gorgoglio dello scarico è un intenso e profondo mugugno di piacere, il deodorante è una lingua bramosa di assaggiarmi, l'accappatoio è un corpo caldo da riempire con il mio, il sapone liquido è tutto da spalmare su un viso, il pettine sono ispidi peli pubici in cui affondare il capo, il burro cacao è un sesso ansioso di essere assaggiato in tutta la sua liscia ma rigida e pastosa lunghezza... Il terzo giorno è quello dove, detto senza mezzi termini, mi sparo così tante seghe che ogni volta che esco dalla doccia e i particolari prima elencati mi balzano all'occhio, mi masturbo come un disperato finché non si fa palese il bisogno di tornare sotto il getto d'acqua calda per ripulirmi -l'ennesima volta-. Il quarto, il quinto e il sesto giorno non ho più nemmeno la prestanza mentale di toccarmi: la mia fame e sete di donna è talmente accecante che mi aggiro come una belva per il mio appartamento, dal letto alla finestra chiusa, dal divano alla porta serrata, dalla cucina alla televisione spenta... Non trovo pace se non nel pregustare quanto vizierò la prima donna che al termine del mio ritiro capiterà sulla mia strada... e questo non fa che frustare la mia voglia in astinenza. Il settimo giorno, ossia ieri, ero talmente immerso nella mia lotta contro me stesso che non mi accorsi all'inizio del bussare. Fu un sollievo indescrivibile: non ricevo molte visite, dunque era sicuramente qualcuno dell'Enel che necessitava della chiave per accedere al contatore in cantina. Era un'occasione irrinunciabile per distrarmi dai miei istinti irruenti: avremmo chiacchierato del tempo, di calcio, di tutto ciò di cui parlano vicino di casa e controllore dei contatori. Solo quando il mio sguardo fu letteralmente nello spioncino sentii il fremito del dubbio: e se si trattasse invece di una... Donna. Anzi: meglio. Una moretta in hotpants stracciati e maglietta lisa senza una manica, sul cui bavero era appuntata un'enorme spilla dichiarante 'LA NATURA NON ASPETTERA' PER SEMPRE, BASTARDO.' Anche attraverso il mio minuscolo oblò riuscivo a distinguere denti come perline bianche, seni sfrontati che mi ammiccavano dallo scollo sfilacciato e distorti dalla convessità dello spioncino, ginocchia sporche e polpacci non esattamente esili come dettava l'estetica moderna, ma ben piazzati, da maschio. La mia immaginazione torturata fece il resto. Fingere di non essere a casa? Impossibile, doveva aver sentito i miei passi in avvicinamento. Mandarla via senza aprire? Impossibile, non volevo che i miei vicini udissero la sgarbataggine. Lasciarla entrare? Impossibile, in questo stato sarei stato capace di non limitarmi all'amore mentale, bensì di scagliarmi addirittura in... -Salve, sono Nikki di PlanetAid. Posso presentarle le nostre attività di salvaguardia della natura?- Credo fosse stata la spalla nuda e spigolosa, o l'abbozzo della cucitura sul cavallo dei pantaloncini che le tracciava una mansueta curva da un interno coscia all'altro ad avermi sottomesso ai miei istinti. Ora che la guardavo per bene, doveva avere probabilmente ventun'anni: a trarmi in inganno erano stati i suoi lineamenti così infantili. I capelli color sabbia erano ricci e legati in una coda molle, gli abiti trasandati, il volto sciatto, il portamento distratto,le guance rosee e paffute deliziosamente coordinate ad una boccuccia così piena che la mia mente iniziò a contorcersi in cerca di una scusa per farle pronunciare bene la parola 'uovo' o 'bacio'. Quello che invece tradiva la sua vera età celata in un corpo trasudante maturità di forme erano piccoli dettagli --lo smalto acceso, la perla all'orecchio, le scarpette stile Mary Jane's con il cinturino e lucidate a specchio, il braccialetto d'oro, l'ombretto steso sapientemente-. Nikki era senza fiato, non so se per le scale oppure per il caldo, dunque con la mia solita premura e galanteria le offrii innocentemente un bicchiere d'acqua in cucina, ove mi avrebbe anche potuto illustrare le iniziative di PlanetAid con calma. Accettò l'invito con gratitudine, anzi con sollievo, e non smise per un attimo di trillare informazioni sull'organizzazione, atteggiando le labbruccia rosse in mille smorfie diverse: la ammiravo di sottecchi, senza ancora attentare a nulla di serio, mentre versavo sorridendo --o ghignando?- dell'acqua per entrambi. Mentre descriveva come la foresta dell'Amazzonia venisse brutalmente abbattuta per ridurla in piantagioni, intrecciò le dita nei riccioli insabbiati per raccogliersi nuovamente i capelli in un nodo: il movimento le movimentò l'intera maglietta sbrindellata, donandomi una commuovente panoramica del suo petto attraverso la manica assente. Nikki non portava il reggiseno, e i suoi seni erano talmente golosi che erano muffin e ciambelle e biscotti di panpepato e paste frolle e meringhe e marzapane; i suoi capezzoli arrossiti invece erano canditi e praline e amarene sciroppate e scagliette di cioccolato e confetti rosa. Iniziai a non ragionare più correttamente: la mia bramosia scalpitava per essere sguinzagliata su questa Nikki così appetitosa, ed ero costantemente sul punto di strapparle aperti i pantaloncini con il pensiero, di annusare il profumo della sua eccitazione aleggiante sulle sue mutandine --ammesso che le portasse-, di farle capire quanto fosse incontrollabile la mia voglia del suo sesso caldo e stretto e bagnato e morbido e Basta. Non potevo. E non potevo perché adesso anche solo sfiorarla con il pensiero sarebbe stato un gesto talmente carico di intensità per colpa dell'astinenza che Nikki avrebbe rischiato di divenire subito ricettiva alle mie attenzioni e di spaventarsi. E io non volevo che si spaventasse. Dovevo darmi una calmata. Mi volsi per riporre la bottiglia nel frigorifero --e per occultare l'erezione vistosa anche attraverso i pesanti jeans- ed allora, allora lo sentii. Fu come se qualcuno mi avesse appena sollevato un lembo della camicia per toccare fugacemente, in punta di dita, uno ad uno i nei sulla mia schiena. Percepii distintamente la lieve pressione come di polpastrelli sudati sulla mia pelle e la sensazione fu talmente inaspettata che la bottiglia che stavo rimettendo al suo posto scivolò di mano, frantumandosi al suolo in mille pezzi e gocce. Sommergendomi di scuse, mi affrettai a rimediare al disastro con spugna e paletta mentre la ragazza si offriva gentilmente di darmi una mano. Mentre la invitavo a non preoccuparsi assolutamente ma anzi di proseguire con la descrizione di PlanetAid, la mia mente girava come una trottola in cerca di spiegazioni: dovevo semplicemente aver immaginato il tutto, troppo preso a cavalcare l'onda delle mie fantasie spericolate. In quel momento percepii la sensazione come di un coccio di vetro gelido che mi veniva passato con leggerezza assoluta sul retro del collo: il mio intero corpo esplose in un brivido di eccitazione e curiosità, ed un istante dopo sentii la voce di Nikki. -Ebbene, intende dare un contributo?- Mi sollevai dal pavimento bagnato per guardare oltre la ragazza che mi porgeva un mazzetto di cartoline con il logo di PlanetAid timbrato su ognuna: nei miei pensieri le allargai lo scollo della maglietta, giusto abbastanza per seppellire il mio viso nell'incavo del suo collo e respirare pesantemente sulla sua pelle saporita. La vidi irrigidirsi, ma non si sottrasse al mio tocco mentale con moti di insofferenza o incomprensione: la sua pelle calda si lasciava ammaliare docilmente dalla mia bocca. La mia fantasia iniziò a sbrogliarsi, e stavolta insinuai le mie mani attraverso le maniche della sua maglietta e modellarle sulla superficie accaldata della sua schiena, alternando il premere all'accarezzare. Nikki si era immobilizzata, ma ancora non si dimenava sulla sedia in preda alla sensazione a cui non riusciva a ricollegare una causa o una fonte. Si godeva semplicemente il tocco mentale lasciato dalle mie dita che le sfilavano la maglia e si racchiudevano attorno ai suoi seni, quasi come se intendessi proteggerli. Mentre la mia bocca schiusa calava sulla dolcezza del suo capezzolo, il tocco che prima mi aveva preso di contropiede tornò a manifestarsi sotto forma di una salda presa che mi strappò la camicia aperta sul petto, facendone saltare via tutti i bottoni come grilli in un prato. Sentivo unghie graffiarmi piano gli avambracci e un corpo caldo e slanciato premere contro il mio, sfregandosi con indulgenza sui miei pettorali scoperti. Stavo baciando la linea immaginaria che parte dal mento e scende attraverso la valle tra i seni, oltre la piccola conca dell'ombelico e fino alla docile pendenza dell'inguine con foga crescente: la sensazione di mani che tracciavano lo stesso percorso sul mio corpo era pure quasi violenta per l'intensità... In quel momento alzammo entrambi gli occhi di scatto, mettendo a fuoco il volto arrossato dell'altro e il respiro avido: era come cogliere sul fatto qualcuno intento a cogliere te stesso sul medesimo fatto. La comprensione lampò su entrambi ad esattamente lo stesso momento: Nikki, per qualche strana coincidenza, possedeva il mio medesimo dono. All'intesa seguì l'irruenza che le piacque non poco, a giudicare dalla forza con cui le sue cosce di serrarono attorno alla mia vita quando l'afferrai per i fianchi e la sbattei con irruenza sul ripiano da cucina, baciandola con il trasporto che solo una settimana di reclusione dal mondo femminile può conferire a una bocca. Era difficile distinguere tra quello che compivamo con il pensiero e quello che effettivamente stavamo facendo come disperati nella mia cucina. Sono sicuro che mentre le stracciavo i jeans di dosso, insinuando le mie mani sudate nella sua intimità e grattando petulantemente alla seta fradicia dei suoi slip, stessi contemporaneamente nel pensiero impastandole alacremente con le labbra inumidite un capezzolo confettato. Allo stesso tempo mentre vedevo le lunghe gambe di Nikki aprirsi per me e la sua salda presa attorno alle mie natiche ora scoperte guidarmi entro le saporite profondità del suo sesso, percepii distintamente i suoi dentini mordicchiarmi mento e labbra con cattiveria. La nostra foga rovesciò bicchieri e piatti impilati sul ripiano: solo quando un mio ennesimo violento affondo fece esplodere un sacchetto di sale o zucchero per l'improvvisa pressione contro la schiena di Nikki la sollevai dal disastro e la tenni in braccio così sospesa, avvinghiata e ondeggiante attorno al mio corpo. Eravamo furenti. I nostri furono due irati orgasmi --uno fisico e l'altro mentale- che trapassarono simultaneamente i nostri corpi da sesso pompante e ondeggiante a gola ansimante e urlante. Non sono un naturale decantatore del dopo-sesso, del momento in cui ogni lei brama coccole e cioccolatini e ogni lui sogna sonno e televisione. Quando il tuo compito è amare di nascosto ogni donna, non ti rimane più nemmeno il rimorso di non poter dedicare a ciascuna un doverosa e meritata carezza. Fu invece proprio Vivienne ad insegnarmi l'importanza del silenzio e dell'abbraccio dopo aver consumato la passionalità, il momento forse più intimo del sesso stesso in cui giacciamo intessuti l'uno nell'altra a respirare pesantemente, a scorrere le dita sul volto dell'altro. Vivienne mi ha insegnato "sois charmante et tais-toi, perché a la donna piacia". Vivienne mi ha insegnato a voler bene. Non ho mai smesso di cercarla in ogni donna che abbia mai amato con il pensiero. Nikki mi chiese di usare il bagno e mentre lei probabilmente si spazzolava lo zucchero dai capelli e si sistemava i pantaloni come meglio poteva, io raccolsi i cocci delle mie stoviglie infrante dal pavimento. Il rumore del vetro che scricchiolava nella pattumiera coprì il suono della porta d'ingresso che si chiudeva di nascosto alle sue spalle. Ho passato il resto del mio ultimo giorno di ritiro a pensare a Viv ed a scrivere in questo diario, ancora inebriato nella mente e nell'inchiostro dal profumo di donna aleggiante per la mia casa.